- Cristiani ipocriti, che pregano, ma vivono da atei
Cominciamo l’anno con l’ennesima lezione di vita (e di fede) di papa Francesco, che non ha paura di scagliarsi contro “i sepolcri imbiancati” per scuotere le coscienze e ripotarci alle radici della nostra fede. Fede che, senza le opere, non vale nulla.
«…e quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo. Ma se tu vai in chiesa, vivi come figlio, come fratello è una vera testimonianza, non una contro testimonianza…». Il Papa dice che se noi odiamo gli altri o sparliamo degli altri, anche se siamo cristiani, viviamo come se fossimo atei.
Continua il pontefice: “Gesù introduce l’insegnamento della preghiera del ‘Padre Nostro’, prendendo le distanze dagli ipocriti. C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio: lo fanno per essere ammirati dagli uomini. La preghiera cristiana, invece, non ha altro testimone credibile che la propria coscienza”.“La propria coscienza”. Sembra don Milani. E’ papa Francesco (udienza generale del 2 gennaio scorso). - Grande Guerra o Grande Menzogna? Leggete questo libro
Sono trascorsi 100 anni dall’inizio della I guerra mondiale, tutti i protagonisti di quegli anni – vittime e carnefici – sono morti, ma non è morta né la retorica, né la mistificazione, né la menzogna che pretende di ricordare e celebrare, oggi come allora, la catastrofe di quegli anni. Celebrazioni che ancora tacciono sulle colpe di politici come Antonio Salandra e Sidney Sonnino che vollero quella guerra e di generali spietati come Luigi Cadorna, Luigi Capello e Antonio Cantore responsabili, con molti alti ufficiali, di aver mandato a morire centinaia di migliaia di soldati in inutili assalti.
Un centenario che mira a celebrare la retorica della Patria
L’attivismo celebrativo si era già messo all’opera nel 2012 con la mostra, al Vittoriano, “Verso la Grande Guerra”. Un evento che aveva riaffermato che «la Grande Guerra è stato un passaggio fondamentale nel processo di costruzione del nostro Paese, perché è nell’affratellamento delle trincee il primo momento vero in cui si sono “fatti” gli italiani». Una tesi stantia che cerca, così, di riabilitare e giustificare quel massacro, durato anni, collegandolo al completamento dell’unità nazionale. Ecco dunque la mistificazione al lavoro: orgoglio e unità nazionale, sacrificio eroico di vite umane. Ancora dopo un secolo in Italia non conosciamo se non approssimativamente il numero dei soldati morti, di quelli feriti, dei civili deceduti direttamente e indirettamente e di coloro che in seguito agli stenti della guerra furono più esposti all’epidemia della “spagnola”. Così si impone la spiegazione della guerra con un disegno superiore e alto – Italia ed Europa – e rispetto ad esso si continua a tacere della morte di oltre 650.000 soldati italiani, di 500.000 feriti gravi, di 600.000 prigionieri abbandonati dall’Italia – senza aiuti e assistenza – perché considerati disertori e codardi, di errori strategici pacchiani, di 40.000 soldati impazziti, di un indebitamento che si è estinto solo negli anni ’80, di una truffa colossale sulle spese di guerra con imputati generali, politici, industriali – tra cui i grandi gruppi Ansaldo e Ilva – tutti rimasti impuniti. Quella guerra fu soltanto una catastrofe nazionale totale che ancora viene presentata ed edulcorata con la patriottarde parole di “eroico sacrificio”, riproponendo così dopo un secolo la mistica di guerra della propaganda.
Ferite indicibili e incancellabili, nel corpo e nell’anima
La stessa propaganda che oggi si ostina ad ignorare i risultati di centinaia di ricerche storiche, scientificamente ispirate, che restituiscono a quella guerra, attraverso uno studio delle fonti, l’orrore che essa è stata. Tutti i progressi tecnologici dell’epoca (gas, mitragliatori, aerei, artiglieria, lanciafiamme, proiettili dum-dum, sommergibili) furono messi a servizio di un’ideologia di morte su larghissima scala in grado di produrre sui corpi e sulle menti devastazioni mai viste e permanenti. Non sapevano infatti descriverle né i medici nelle autopsie davanti a brandelli di carne, né gli psichiatri davanti a nevrosi e follie mai prima viste. A questo si aggiunge lo squallore di un Comando supremo che organizzava su larga scala casini per soli militari dove la violenza sul nemico si trasferiva alla violenza sulla donna.
Credere, obbedire, combattere. A tutti i costi, morte compresa
Si afferma da subito un clima di terrore tra le truppe costrette, in una guerra di cui nulla sapevano, ad assalti continui ed inutili ad inespugnabili trincee, decimazioni di massa, plotoni di esecuzione per le minime infrazioni, seguendo una linea di comando che partiva dall’autore di tutti gli ordini più efferati: il generale Cadorna. A suo servizio, presso lo Stato maggiore, vi era il capitano medico, frate francescano, Agostino Gemelli, il cui impegno, di psicologo militare, fu tutto rivolto a creare le condizioni perché i soldati annullassero totalmente qualsiasi senso critico e si assoggettassero ad obbedire agli ordini, quali essi fossero, senza pensare, utilizzando anche l’universo religioso, posto a servizio della causa della guerra sempre compresa come opera salvatrice divina.
Bisognerebbe leggere le lettere dal fronte dei nostri soldati
Leggere gli scritti di Gemelli di quegli anni, le sentenze dei plotoni di esecuzione, le lettere dei soldati scampate alla censura, le lettere anonime indirizzate al re “soldato” Vittorio Emanuele e i canti di protesta potrebbero servire a rendere questo anniversario occasione di costruzione di una memoria nazionale fondata non sull’ipocrisia, la mistificazione, la baggianata del tricolore elemento di coesione nazionale, ma sul riconoscimento che 5 milioni di italiani furono sottoposti ad una prova inutile, onerosissima e per molti di loro mortale. Altro quindi da quanto, per esempio, il ministero dell’Istruzione prepara per i nostri studenti in quelle che definisce le «celebrazioni relative alla I guerra mondiale». L’orrore non andrebbe mai celebrato, ma riconosciuto, ricordato e condannato.
Oggi “fare storia” vuol dire guardare con occhio obiettivo quell’inutile barbarie
Per tutte queste ragioni il libro di Tanzarella, vuole raccontare in modo rigoroso, ma con un approccio divulgativo, quell’orrore, spesso conosciuto solo dagli specialisti, dai ricercatori e dagli studiosi, mettendo a disposizione di un pubblico ampio di lettori fatti, dati, circostanze, che spesso gli stessi manuali scolastici di storia trascurano od occultano, per demistificare la narrazione celebrativa della I guerra mondiale e creare una solida coscienza critica del perché fu orrore quella guerra, come e più di altre guerre. E suscitare ugualmente orrore nei confronti della “grande menzogna” attraverso la quale ancora oggi molti vorrebbero continuare a ricordarla, nonostante devastazioni, lutti, torture, prigionie, ruberie, deportazioni.
- L’obbedienza non è più una virtù e, forse, non avrebbe mai dovuto esserlo
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
(da “Lettera ai giudici”, don Lorenzo Milani)
Mai come oggi ci paiono così attuali e brucianti le parole profetiche di don Lorenzo riguardo all’obbedienza, il miglior modo secondo lui (e secondo noi) per non assumersi le proprie responsabilità e nascondere le proprie colpe dietro l’alibi del rispetto della legge (quando è ingiusta). E se una legge è giusta o ingiusta è la nostra coscienza a dircelo, a guidare il nostro discernimento. Il (vero) problema di oggi è avercela una coscienza.
Ma pensiamo anche che il modo migliore per capire la vicenda del sindaco di Riace Domenico “Mimmo” Lucano sia quello di leggere il bellissimo articolo di Roberto Saviano pubblicato oggi (3 ottobre) su “La Repubblica” ed evitare di sprecare le nostre parole che traboccano di indignazione per un’azione giusta secondo la legge, ma tremendamente ingiusta dal punto di vista della carità.
Riace, un esempio di accoglienza in Italia
Qui di seguito alcune immagini che illustrano la solidarietà di molti cittadini al sindaco di Riace e un grafico Ansa con alcuni dati sul paese calabrese.
- Di male in peggio. Sarà il clima elettorale?
Non c’è più limite al peggio. C’è sempre qualcuno che riesce ad alzare l’asticella. E a superarla. Ci riferiamo ai due fatti che hanno “incorniciato” quest’ultima settimana di follia all’italiana. Prima Cristina Bertuletti, sindaca di Gazzada Schianno, leghista, che, nel giorno della Memoria osa postare su Facebook una frase a dir poco nauseante e ignominiosa nella sua volgarità: “Visto che è il giorno della memoria ricordatevi d’andare a pijarlo in …”. Ma c’è chi ride e la difende, ed è questo il peggio. Qui non c’è niente da ridere. C’è invece da chiedersi come una minus sapiens del genere possa essere stata eletta (democraticamente?) a sindaco. Riteniamo che una rappresentante dello Stato che scrive una frase del genere debba essere sottoposta a un esame psichiatrico ed essere interdetta dai pubblici uffici. E ci associamo al post di Giusy Nicolini, ex sindaca di Lampedusa (non rieletta democraticamente) che propone le sue dimissioni, così come molti sindaci del Varesotto.
La sindaca leghista Bertuletti, tuttavia non è nuova a prese di posizioni molto forti, e già in passato aveva scritto su Facebook, ad esempio, frasi in cui non nascondeva giudizi personali positivi sul regime fascista “sognando” la reincarnazione del Duce (che, secondo lei, sarebbe più “leghista” che “fascista”, e in effetti anche Salvini sarebbe d’accordo) e, in un altro post del 2016, insulti contro la segretaria della Cisl Annamaria Furlan che avrebbe meritato “l’esecuzione capitale”.
Una sindaca “originale”
La Lega aveva considerato anche la possibilità di una sua candidatura alle elezioni regionali, ma è stata la segreteria provinciale a bloccare ogni spazio, preoccupata che l’esuberanza della sindaca potesse in qualche modo oscurare gli altri candidati. Cristina Bertuletti non è nuova a iniziativa per così dire, fuori dagli schemi. Tempo fa ha presenziato a un consiglio comunale “in costume”, durante una seduta nel periodo di Carnevale; l’intera giunta comunale l’ha seguita mettendosi un costume (v. foto sotto). Purtroppo, nonostante le preoccupanti avvisaglie, nessuno ha messo in dubbio la sua salute mentale e l’ha fatta curare. Adesso ne paghiamo le conseguenze.
Un giorno di ordinaria follia
Sono circa le 11 di sabato 3 febbraio a Macerata, quando Luca Traini, un robusto ragazzotto originario di Tolentino, già candidato con la Lega Nord alle amministrative del 2017, ex buttafuori e autista (insomma con un curriculum di tutto rispetto), spara una lunga serie di colpi dalla sua auto, un’Alfa Romeo 147 nera, contro le persone che incontra per strada. Apparentemente senza motivo, a caso. In realtà le persone colpite e ferite (al momento nessuna vittima), sono tutte immigrati africani. Traini viene poi bloccato dalle Forze dell’Ordine sulle gradinate del monumento ai caduti con una bandiera tricolore al collo, mentre faceva il saluto fascista. Traini ha un diploma da geometra e non ha precedenti penali. Vive a Tolentino, poco fuori Macerata, con la madre e la nonna, dopo aver lasciato due anni fa la casa del padre a Piediripa. Sulla tempia destra ha tatuata una runa Wolfsangel, cioè un “dente di lupo”, antico simbolo germanico associato al nazismo. Con la Lega si era candidato alle comunali a Corridonia, non prendendo nemmeno una preferenza.
I feriti sono tutti africani
Traini ha colpito e ferito almeno sei persone: Festus Omagbon, nigeriano di 32 anni, è ricoverato ad Ancona per una lesione vascolare al braccio destro; Wilson Kofis Lui, ghanese di 21 anni, è ricoverato per fratture alle costole e una contusione polmonare; Jennifer Otioto, nigeriana di 29 anni, è in attesa di un intervento chirurgico a un braccio fratturato dallo sparo; Mahmadou Toure, del Mali, 28 anni, è il più grave dei sei e da sabato è in rianimazione per una lesione al fegato, ma non è in pericolo di vita; Omar Fadera è stato colpito di striscio a un fianco ed è stato dimesso; Gideon Azeke, 25 anni, nigeriano, è stato operato alla coscia. In realtà i feriti sarebbero otto, ma due “clandestini” sarebbero fuggiti per far perdere le tracce.
Il movente nelle sue dichiarazioni
Il giovane neofascista verrà ascoltato sabato notte per due ore dal comandante provinciale dei Carabinieri. Ecco le sue dichiarazioni:
«Mi sono svegliato alle 8.30, avevo preso l’auto per andare in palestra, ma poi lungo il tragitto ho sentito alla radio che parlavano di nuovo del male fatto a Pamela da quel nigeriano e in quel momento non ci ho visto più. Sono tornato a casa di mia nonna Ada a Tolentino, ho aperto la cassaforte, ho estratto la Glock che detengo per uso sportivo, una scatola da 50 colpi e i due caricatori con una decina di pallottole ciascuno. Volevo ucciderli tutti». «Quando era tutto finito e avevo vuotato ormai i caricatori, sono andato a Pollenza. Mi sono fermato con l’auto proprio nel luogo dove avevano ritrovato le valigie con i poveri resti di Pamela e là sono rimasto, per qualche minuto, in raccoglimento. L’avevo appena vendicata, sparando trenta colpi. E ci tenevo a dirglielo».«Mi sono innamorato di due ragazze che avevano problemi di tossicodipendenza, ho cercato di salvarle ma loro si sono allontanate da me, colpa degli spacciatori (…). I pusher sono la rovina e sono sempre dei neri, due volte gli ho alzato le mani addosso e lo hanno fatto anche i miei amici».
La Pamela di cui parla Traini è Pamela Mastropietro, ragazza 18enne che viveva in una comunità di recupero e il cui corpo mutilato è stato ritrovato pochi giorni fa a Macerata in due diverse valigie. Finora l’unico arrestato in relazione alla morte di Mastropietro è Innocent Osheghale, un 29enne nigeriano che si presume fosse uno spacciatore. Alcuni testimoni dicono che Traini si è fermato al bar dicendo: «Vado a fare una strage».
La perquisizione della sua casa
Dopo la sparatoria, nella sua casa di Tolentino i carabinieri hanno trovato una copia del libro di Adolf Hitler, Mein Kampf, una bandiera con la croce celtica e parecchie riviste riconducibili al mondo dell’estrema destra (tra cui un testo sulla storia della Repubblica sociale italiana e un manifesto della Gioventù fascista). C’erano poi DVD e videocassette sulla storia del nazismo. I carabinieri stanno anche esaminando il suo profilo Facebook alla ricerca di ulteriori possibili legami con l’estremismo di destra. Traini ora è in isolamento nel carcere di Montacuto ad Ancona, lo stesso dove si trova Innocent Oseghale, l’uomo arrestato per l’omicidio e le mutilazioni sul cadavere di Pamela Mastropietro. Rischia fino a quindici anni di carcere per l’accusa di strage (in questo caso aggravata da motivi razzisti).
Le preoccupazioni del suo avvocato
L’avvocato di Traini, Giancarlo Giulianelli, ha detto che «la morte di Pamela ha creato un blackout totale nella sua mente che potrebbe configurare l’incapacità di intendere e di volere al momento del gesto». Il legale molto probabilmente chiederà quindi una perizia psichiatrica. Traini però durante l’interrogatorio ha detto di non essere in cura da uno specialista.
Traini avrebbe poi parlato delle sue fidanzate e di una in particolare con problemi di tossicodipendenza, ha detto il suo avvocato difensore: «Forse per questo si è scatenata la sua furia. Ha legato i ricordi a Pamela Mastropietro e al pusher di colore che l’ha uccisa. Così è scattato l’odio».
Ma l’ultima drammatica considerazione esce ancora dalla bocca dell’avvocato Giulianelli: «A Macerata mi fermano per darmi messaggi di solidarietà al mio assistito. E questo è allarmante. Politicamente c’è un problema. Questa classe politica: destra, sinistra, centro – ha chiesto il legale – come ha trattato il problema dei migranti? Se questo è il risultato… Luca è la punta di un iceberg, la più eclatante e da condannare, ma la base è molto più vasta. Ci sono persone, e non è neanche un fatto di razzismo, che non condividono il modo di gestire i migranti. La politica non ha dato una risposta al problema – ha concluso Giulianelli -: la destra l’ha strumentalizzato, la sinistra l’ha ignorato e sottovalutato…».
- Siamo tutti bastardi (per fortuna)Trump ha recentemente definito “cessi di paesi” tutti quelli che, per gran parte gravitano sotto la linea dell’Equatore e sono popolati da gente non esattamente “bianca”. Noi italiani non potevamo essere da meno. Si sa che importiamo tutto (il peggio) dagli Stati Uniti. Infatti lo ha seguito a ruota Attilio Fontana, già sindaco (ahimè) di Varese. Che poi ha smentito e in seguito riconfermato, da uomo duro qual è, l’ennesima sciocchezza padana: dobbiamo difendere “la nostra razza bianca” dall’immigrazione. La fidanzata di Henry Bolton (il leader dell’Ukip, il partito isolazionista inglese) ha accusato Meghan Markle (la fidanzata del principe Harry), di “macchiare con il suo seme la famiglia reale” in quanto afroamericana. Per non parlare delle continue derive nazifasciste di casa nostra, che tanto fascino suscitano sui nostri ragazzi. Insomma siamo accerchiati da orde di “barbari” (per lo più musulmani) che minacciano di spazzare via la nostra immacolata civiltà.
Ma come si può ancora difendere, all’alba del 2018, la razza bianca?
Se provate a difendere una specificità italiana, etnica o razziale (scegliete voi il termine), beh, tanti auguri: potreste incontrare qualche leggerissima difficoltà. Così scrive Mattia Feltri su “La stampa” del 17 gennaio. E continua con l’elenco, lunghissimo, di tutte (ma saranno proprio tutte?) le etnie che hanno fatto grande il popolo italiano. Grande proprio perché “bastardo”, miscuglio di geni, crogiuolo di nazioni, melting pot di culture… L’Italia, fin dall’antichità più remota, è un festival dei popoli vivente. E’ indubbiamente il Paese più contaminato, e meno puro, d’Europa. Per fortuna. Altrimenti non saremmo quello che siamo. Essere l’approdo preferito di secoli di migrazioni, fa parte della nostra identità mediterranea. Anzi del nostro DNA.Facciamo un test? Del DNA
Come parte di una più ampia iniziativa chiamata Dna Journey, ad aprile 2016 il sito di ricerca viaggi Momondo ha invitato 67 persone provenienti da tutto il mondo a partecipare a un progetto, che è stato documentato con un filmato. Le persone hanno accettato di sottoporsi al test del Dna per scoprire di più sulle proprie origini, in questo video http://www.lastampa.it/2016/06/09/multimedia/societa/il-dna-racconta-davvero-chi-siamo-sicuri-di-essere-italiani-al-hKzRlQsagdmxO8vkjpkFSJ/pagina.html si vede cosa hanno scoperto. Ora 500 persone in tutto il mondo avranno la possibilità di mappare il proprio profilo genetico grazie a quest’iniziativa e quindi scoprire da dove provengono. Una ricerca che, oltre ad avere ragioni commerciali legate all’attività della Momondo, ha anche un evidente intento antirazzista. Volete provare anche voi? Nulla di più semplice. Basta andare in rete e richiedere l’apposito kit.
Magari non fratelli, ma un po’ cugini
Qual è stato il risultato “sconvolgente” del test? Si sa che il nostro DNA è composto per il 50% da quello di nostra madre e dall’altro 50% da quello di nostro padre. Funziona allo stesso modo anche per i nostri genitori. E così via all’indietro nel tempo per tutti i nostri antenati. I risultati di questo test sono stati sorprendenti per tutti quelli che si sono sottoposti all’esperimento. Una donna, in particolare, ha detto che il test dovrebbe essere obbligatorio per tutti, soprattutto per quelle persone che affermano di essere di una determinata nazionalità al 100%. Oppure che esiste una razza “pura” o “superiore” alle altre. Insomma un sacco di str*** che il test del DNA smentisce categoricamente e, soprattutto, scientificamente.
Guardate il video:
http://www.lastampa.it/2016/06/09/multimedia/societa/il-dna-racconta-davvero-chi-siamo-sicuri-di-essere-italiani-al-hKzRlQsagdmxO8vkjpkFSJ/pagina.html
- La violenza peggiore è “figlia” di noi genitori
In questi giorni le cronache hanno registrato due fatti di violenza gratuita e ingiustificata, tanto incredibili a credersi, quanto gravi. Ma poi, come spesso succede, c’è una “buona notizia” (la terza) a riempirci il cuore di speranza.
La prima: ragazzi uccidono un senza dimora per “noia”
VERONA, 11 GEN – È morto bruciato vivo nella vecchia auto che era divenuta la sua casa, ma chi ha appiccato il fuoco – due minorenni – pensava di fargli “solo uno scherzo”. Hanno 13 e 17 anni i due ragazzi accusati dell’omicidio del senzatetto marocchino Ahmed Fdil, 64 anni, trovato carbonizzato nella vecchia Fiat ‘Bravò la sera del 13 dicembre scorso, a Santa Maria di Zevio (Verona). Si pensò inizialmente ad un incidente, una sigaretta caduta nell’abitacolo. Non era così. Le testimonianze dei residenti, che vedevano spesso i due bulletti infastidire il ‘Baffò – com’era soprannominato Ahmed, benvoluto in paese, perchè non dava fastidio a nessuno – hanno indirizzato le indagini dei Carabinieri su una pista ben diversa. Le telecamere di sicurezza hanno fatto il resto. Prima di Natale – ma la notizia è emersa in questi giorni – gli investigatori sono andati a casa dei due ragazzini, un 17enne, e un 13enne, figli di genitori stranieri ben inseriti nella comunità. E poco alla volta hanno fatto emergere il terribile “segreto” che i due s’erano imposti di mantenere. Nessun incidente, nessun mozzicone di sigaretta, ma un omicidio. Toccherà ai giudici stabilire se preterintenzionale o volontario. È stato il 13enne a fare le prime ammissioni davanti al Pm della Procura di Verona. “Era uno scherzo, non l’abbiamo fatto apposta”, si sarebbe giustificato l’adolescente. I magistrati di Venezia dovranno accertare se la versione fornita dal 13enne sia vera. Chi ha visto i due ragazzini infastidire il senzatetto, ha raccontato che spesso gli tiravano sassi, e gli lanciavano i petardi verso la macchina. Potrebbero quindi essere stati dei botti, e non la carta, a far partire il fuoco. (ANSA)
La seconda: una coppia di genitori picchia un prof colpevole di aver rimproverato il loro figlio
SIRACUSA, 10 GEN. – Una coppia di genitori di Avola è stata denunciata dai carabinieri per aver picchiato l’insegnante di educazione fisica del loro figlio dodicenne. L’aggressione è avvenuta nella tarda mattinata di oggi nel cortile dell’istituto Vittorini di Avola dove i genitori dello studente, lui 47 anni, lei 33 anni, entrambi impiegati, si erano recati dopo essere stati contattati col cellulare dal figlio che avrebbe detto di essere stato rimproverato dal docente. La coppia ha aggredito, sotto gli occhi degli altri alunni, a calci e a pugni l’insegnante, costretto a fare ricorso alle cure dei medici dell’ospedale “Di Maria” di Avola che gli hanno riscontrato la frattura di una costola. I carabinieri hanno avviato un’indagine e al termine degli accertamenti hanno denunciato la coppia con l’accusa di lesioni ed interruzione di pubblico servizio. (AGI)
La terza: un papà costruisce a mano una strada per fare andare i figli a scuola
Spinto dalla motivazione di dare un’educazione ai suoi figli, il venditore di frutta indiano Jalandhar Nayak, 45 anni, analfabeta, ha scavato a mano da zolle e roccia una strada di 8 chilometri che va dal suo piccolo villaggio di Gumsahi alla scuola di Phulbani. Per completare oltre la metà del percorso l’uomo ha impiegato due anni, con 8 ore di scavi quotidiani a colpi di piccone, zappa e scalpello per aggirare lo sperone di roccia che costringeva i suoi tre bambini a impiegare oltre tre ore per andare e venire dalle lezioni, in ogni condizione atmosferica. Alla fine la sua impresa è stata segnalata dalla gente del posto a un quotidiano regionale che ha trasformato Nayak in un eroe popolare e, di conseguenza, il governo lo ha premiato con uno stipendio adeguato al lavoro svolto. “I miei bambini avevano difficoltà a camminare sulle pietre – ha raccontato Nayak – Li avevo visti spesso inciampare contro le rocce”. Da qui la decisione di rimboccarsi le maniche e scavare la strada attraverso le colline.
Ci aspetta un compito educativo immane: dare noi, genitori, il buon esempio
Le tre notizie offrono uno spaccato, nel bene e nel male, di quello che possono essere i nostri figli oggi: crudeli e spietati senza rendersene conto (perché forse non ci sono genitori che hanno educato le loro coscienze), viziati “figli di papà” (che usano i genitori come killer al soldo di un boss mafioso), e poveri ragazzi il cui unico sogno è quello di andare a scuola (e poter imparare a leggere e scrivere). Grazie all’impresa eroica di un padre, Nayak, che resterà sempre nei loro cuori (e che a noi, al solo pensiero, mette i brividi…). Probabilmente Nayak non sa nulla di Barbiana, ma don Lorenzo sarebbe orgoglioso di lui (e dei suoi figli).
- Papa: “Basta fomentare la paura per i migranti a fini elettorali”
Siamo ormai in campagna elettorale e mai come oggi risuonano quanto mai attuali le parole pronunciate da Papa Francesco lo scorso novembre per la giornata mondiale della Pace del 1° gennaio. Bergoglio infatti condannava «Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano». I migranti, prosegue il Papa, non sono altro che «uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace». E che per trovarlo «sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta».
Il Papa ci invita dunque ad abbracciare «tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale». Anche se, ammonisce, «aprire i nostri cuori alla sofferenza altrui non basta»: «Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura». In tal senso urge «un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate».
Monito ai governanti
I responsabili della cosa pubblica, aggiunge il Papa, «hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurarne i giusti diritti e lo sviluppo armonico». A loro spetta dunque un «discernimento» così da «spingere le politiche di accoglienza fino al massimo dei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, considerando cioè le esigenze di tutti i membri dell’unica famiglia umana e il bene di ciascuno di essi». In questo modo le città, «spesso divise e polarizzate da conflitti che riguardano proprio la presenza di migranti e rifugiati», possono trasformarsi in «cantieri di pace».
Capovolgiamo la prospettiva
Migranti e rifugiati, afferma infatti, «non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono». Mutando lo sguardo sarà quindi possibile «scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti».
La strategia dell’accoglienza
Ancora, bisogna «promuovere» – scrive Francesco – nel senso di «assicurare ai bambini e ai giovani l’accesso a tutti i livelli di istruzione» al fine di «coltivare e mettere a frutto le proprie capacità», ma anche essere maggiormente in grado «di andare incontro agli altri, coltivando uno spirito di dialogo anziché di chiusura o di scontro». Infine, «integrare» che «significa permettere a rifugiati e migranti di partecipare pienamente alla vita della società che li accoglie, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione nella promozione dello sviluppo umano integrale delle comunità locali».
Parole profetiche quelle di Papa Francesco, che ci interrogano profondamente e scuotono le nostre comunità cristiane troppo spesso appiattite sui luoghi comuni a difesa del “quieto vivere”. Quel “quieto vivere” troppo spesso invocato a sproposito anche dai nostri politici, alla caccia di voti e di consenso.
- Tutti uniti contro i fascismi (di ieri e) di oggi
Dopo l’irruzione del Veneto Fronte Skinheads durante una riunione del comitato “Como senza frontiere” e i successivi raid alle redazioni di “Repubblica” e “L’Espresso”, sabato scorso 9 dicembre, si è svolta a Como una grande manifestazione contro tutti i fascismi e per i diritti dal titolo #e questo è il fiore che ha radunato insieme migliaia di persone, tra cui moltissimi giovani.
“Contro i rigurgiti fascisti e chi inneggia all’intolleranza la miglior risposta è la partecipazione, la solidarietà, l’impegno per i valori della Costituzione. Sono idealmente insieme a tutte le persone che hanno scelto di essere a Como oggi.#equestoèilfiore”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, su twitter.
Una manifestazione bellissima, e necessaria, per tutti gli italiani. Perché sono tanti i valori che ci uniscono, ma quello più profondo è l’antifascismo. Sono stati letti alcuni brani di Calamandrei, Pertini, Fenoglio e Berlinguer.
Un cartello recita “Restiamo umani, restiamo antifascisti”, con fermezza senza urlare. Perché, come sottolinea un caro amico, “l’opposto del fascismo non è il comunismo, ma la democrazia!”
Francesco, 14 anni studente al linguistico: “Bisogna scendere in piazza in tanti, più che si può. Sennò i fascisti capiscono che siamo in pochi e deboli, si ringalluzziscono, e pensano di poter fare quello che vogliono”. Pietro studia giurisprudenza a Milano: “Lo ius soli è un punto fondamentale di oggi. Vedere bambini nati qui che non vengono riconosciuti come italiani. E noi che non facciamo niente”.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, oh giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione». (Piero Calamandrei, discorso agli studenti milanesi il 26 gennaio 1955)