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Giornata della memoria

Il 27 gennaio si è celebrata la giornata della Memoria per ricordare quell’indicibile crimine dell’umanità che fu lo sterminio degli Ebrei (e unitamente degli omosessuali, dei disabili, dei Rom, ecc…), noto anche come Shoa.

Vi proponiamo qui di seguito due link in cui l’anniversario è stato onorato con modalità opposte.

E’ sempre triste dover constatare che, ancora oggi, nel 2021 – anziché ricordare perché non ricapiti più – possano ancora esistere e trovare credito dei beceri negazionisti ignoranti.

Onore e infinita riconoscenza invece a Liliana Segre che ha continuato per anni, incurante dell’età, a testimoniare l’orrore per incitare le nuove generazioni a non assuefarsi al male e a non cadere nell’indifferenza.

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L’Italia deve firmare il Trattato contro le armi nucleari

Domani entrerà in vigore il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, ma quasi nessuno lo sa e, purtroppo, nessuno ne parla (con l’eccezione di pochi media). E’ un Trattato varato dall’Assemblea generale dell’ONU che il 7 luglio 2017 ha messo fuori legge non solo l’utilizzo, ma anche il possesso della armi nucleari. Possesso di cui l’Italia, pur non essendo potenza nucleare, è “colpevole” e complice. Ovviamente l’Italia, come tutti i Paesi in orbita Nato, non ha sottoscritto il Trattato (invece già firmato da oltre 120 Paesi membri dell’ONU). Tutti i Paesi in possesso di armi atomiche (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord) hanno cercato in tutti i modi di boicottare questo trattato e hanno intimato ai loro alleati (Italia compresa) di non firmarlo. Su un totale di 13.410 testate nucleari sparse per il mondo, si stima che nelle basi italiane di Ghedi (BS) e Aviano (PN) ve ne siano stoccate tra le 40 e le 70. Armi letali, che possono uccidere centinaia di migliaia di persone in pochi istanti, e che saranno in dotazione ai nuovi cacciabombardieri F35.

Questo è il punto: fare pressione sul Governo italiano affinché firmi al più presto questo importantissimo Trattato. E questo lo si può fare solo partendo dalle amministrazioni locali, dai Comuni che possono spingere l’Italia a sottoscrivere questo documento epocale. Attualmente la posizione del nostro Paese è illegale: è contro un trattato varato e ratificato dai Paesi Onu (di cui l’Italia è membro) ed è anticostituzionale (Art. 11 della nostra Carta).

E’ un appello che facciamo a tutti i soci di I care e a tutti i ‘costruttori di pace’. In questo impegno devono sostenerci le parole pronunciate da Papa Francesco al Memoriale della Pace di Hiroshima il 24 novembre 2019: “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”.

Anche un’azienda della nostra zona, la Leonardo di Venegono Inferiore è direttamente coinvolta nella produzione di velivoli militari (i famigerati F35 e i caccia M346). Per questo domani, 22 gennaio 2021, anche noi di I care, aderendo all’iniziativa dell’associazione Abbasso la Guerra, saremo presenti dalle 11,30 alle 12,30 insieme a tante altre associazioni del territorio, davanti all’ingresso della Leonardo per sottolineare l’importanza dell’entrata in vigore del Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari e per protestare pacificamente contro la fabbricazione e il possesso di questi ordigni.

Per approfondire suggeriamo la lettura del quotidiano ‘Avvenire’ che domani dedica la prima pagina e dà ampio spazio all’argomento e anche di questo articolo:

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-mondo-senza-armi-nucleari-lobiettivo-adesso-pi-vicino

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Willy e don Roberto martiri e testimoni di carità

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (1Gv 3,16).

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Il 25 aprile c’è (anche se non si vede)

Oggi celebriamo il settantacinquesimo anniversario della Liberazione, quando, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, i popoli europei scelsero la libertà dal nazifascismo e da lì nacque la Comunità europea. Cosa sia rimasto di questa “comunità” nessuno lo sa… forse perché non c’è mai stata. E non è detto che questo maledetto (?) Coronavirus non riesca a far mutare l’Europa in una vera comunità…

Ma se la Comunità europea non c’è mai stata, se non sulla carta, il 25 Aprile c’è stato, eccome! E noi dobbiamo ricordarlo. Sempre. Per noi e per le generazioni future.

Non è vero che oggi “va tutto bene” (e meno male che di queste scritte se ne vedono sempre meno…), ma è vero che potrebbe esserlo domani. Dipende da noi (noi nel senso di comunità), dalle forze positive che riusciremo a mettere in campo, dalla voglia di rinascita che si sprigionerà all’indomani del Covid-19.

Intanto vi vogliamo salutare con il messaggio che gli amici dell’Anpi di Ispra ci hanno inviato in questo periodo di Resistenza che è la quarantena. E con un pugno di film sulla Resistenza che vi invitiamo a vedere (o ri-vedere).

Buon 25 Aprile!

Ciao a tutti e buon 25 aprile, quest’anno è il 75° anniversario della Liberazione d’Italia dal nazi fascismo. Sembra che ancora, dopo tanti anni, un nuovo, più ambiguo e sfuggente male oscuro stia insidiando il mondo e i suoi abitanti. Questa volta non sono degli stolidi violenti vestiti di nero o con svastiche ad ornamento e brame di egemonia mondiale ma una pandemia (…).

Si può sperare, come molti appendono ai balconi, che tutto andrà bene. Che tutto andrà bene lo speriamo tutti, anche che se e quando la situazione di emergenza finirà, da tutto questo si traggano insegnamenti, che gli uomini inizino a capire di essere tutti uguali, ovunque, in tutto il pianeta, che la solidarietà sociale che si è sviluppata in questi giorni riesca a sconfiggere il malato isolamento nazionalistico, l’erosione della sanità pubblica e il distopico controllo sociale in auge. Tutto andrà bene se la nostra memoria non si dimostrerà ancora una volta corta. (…).

Il 25 aprile è la festa della Liberazione d’Italia dai nazisti e dai fascisti, è la festa dei partigiani e di tutti gli antifascisti, è la festa di tutti gli italiani che hanno a cuore la libertà, la giustizia sociale, l’uguaglianza e la fine della guerra che ancora oggi martoria tante zone a noi limitrofe. In prima linea a immolarsi rischiando la propria vita per il bene di tutti questa volta ci sono i medici, il personale degli ospedali italiani e stranieri che sono venuti ad aiutare e le tanto bistrattate Ong, a loro quindi dedichiamo questa giornata. Quest’anno sarà un 25 aprile virtuale, abbiamo collaborato con Partigiani in ogni quartiere di Milano, dove al posto della solita festa concerto alle 18 prenderà vita una piattaforma online in streaming con contributi vari che si succederanno per qualche ora ed a cui vi invitiamo a partecipare dal vostro computer.

Questi i link da cui si potrà vedere: https://www.youtube.com/channel/UC6Gi5_glK0qBrxnHlZ-ZFZQ/featured https://live.autistici.org/#POQ https://www.facebook.com/poqantifa/?notif_id=1587148343426890¬if_t=page_fan

Per questa giornata abbiamo terminato un nuovo film : “Virginia Gattegno da Rodi ad Auschwitz a Venezia”, testimonianza di una superstite ad Auschwitz che oggi vive nel ghetto di Venezia. Vi invitiamo tutti ad andarlo a vedere online su nostro canale youtube a questo link: https://www.youtube.com/playlist?list=PLyJCRFwRAC4TfH5bRDNIsKLlzkpUrnTmJ

Come vedrete, abbiamo anche caricato sullo stesso canale tutti i film partigiani che abbiamo prodotto negli ultimi 15 anni, è così possibile godersi un vero e proprio festival resistente dalla poltrona di casa, ed ascoltare ancora una volta la voce di quelle persone che si sono messe in gioco tra il 1943 ed il 1945 per ridarci la libertà. Il 25 aprile verso le 19, in contemporanea con la manifestazione digitale di Milano, pubblicheremo sul canale anche un breve video tratto dalla prefazione al Manifesto di Ventotene di Eugenio Colorni (filosofo e partigiano gappista, confinato a Ventotene, uno dei primi teorici dell’Europa unita e antifascista, ucciso il 24 aprile 1944 dalle camice nere di Mussolini) che abbiamo realizzato insieme a Partigiani in ogni quartiere. Ora e sempre Resistenza!

Circolo Culturale Anpi Ispra

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Non si può ricordare quello che si nega sia accaduto

La giornata della Memoria serve a ricordare. Ma a ricordare cosa? Il 27 gennaio 1945 i soldati russi entrarono per primi ad Auschwitz e non poterono credere a quello che videro. No, non era possibile che l’essere umano avesse potuto compiere un abominio così immane. Non c’era coscienza capace di contenere tanto dolore. Primo Levi riuscì, anni dopo, a raccontarci l’indicibile orrore di cui era stato capace l’uomo (“Se questo è un uomo”), arrivando a mettere in dubbio l’esistenza stessa dell’umano all’interno di quei corpi di carnefici e di vittime. Se questo è un uomo… ma no, non può esserlo, sembrava la logica risposta.

Oggi il problema si ripropone con drammatica urgenza. La scritta comparsa a Mondovì (Cuneo) sulla porta della casa di Lidia Rolfi (internata e scampata al campo di sterminio nazista di Ravensbruck), oggi abitata dal figlio Aldo, è tutt’altro che una bravata e molto più di un’offesa razzista. “Qui abita un ebreo” recita lo sfregio della bomboletta, accompagnato da una stella di David. Ma Lidia non era nemmeno ebrea, ma fu deportata perché staffetta partigiana. Questa scritta non è solo un insulto, “un’offesa frutto dell’odio” come ha detto il figlio. E’ molto, molto di più. In esso, si condensa una colpa stratificata, collettiva, di chi, prima nega l’evidenza dei fatti quotidiani e poi arriva a sfregiare una Storia che sembrava scolpita a fuoco nelle nostre coscienze. Invece tutto si è sciolto come neve al sole. Coscienze comprese.

Ha ragione Liliana Segre quando ci ammonisce: “Quando ci portarono nei campi di sterminio ci fu l’indifferenza del mondo. Nessuno fece nulla. Ancora oggi non so se è stato peggio il silenzio o l’indifferenza di chi vide e non fece nulla”. I nazifascisti di oggi sono terribilmente ignoranti e determinati. Non vogliono farci dimenticare la Storia, vogliono negarla. Prima a loro stessi che a noi. Compiendo questi gesti sciagurati hanno l’incoscienza (la non-coscienza) dei neofiti del Male. Non vogliono rifarlo, emularlo, perché quel Male, per loro, non è mai esistito, non c’è mai stato. E semmai è accaduto, non era poi così male. Anzi. La situazione è grave. E terribilmente seria. Risvegliamo al più presto le nostre coscienze e quelle dei nostri figli. Altrimenti soccomberemo al Male.

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A proposito di cattivi maestri

C’erano una volta i “cattivi maestri” (gli intellettuali dell’estrema Sinistra che in qualche modo condividevano l’ideologia delle Brigate Rosse e neppure condannavano la lotta armata, anzi). Oggi invece i “cattivi maestri” vanno ad ingrossare le fila della Destra più estrema, ristabilendo così una sorta di par condicio.

Il tweet pro Hitler del prof Castrucci (Ansa)

Opinioni personali e libertà di espressione

Ecco i fatti: Emanuele Castrucci, docente di Filosofia del diritto e filosofia politica, aveva pubblicato una serie di post antisemiti e a favore di Adolf Hitler sul suo profilo Twitter. In uno degli ultimi c’è una foto del dittatore nazista con il suo cane, il pastore tedesco Blondi e la scritta: “Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo” (30 novembre 2019). Scoppiata la bufera, Castrucci non ha trovato di meglio che rispondere, peggiorando ulteriormente la situazione: “I gentili contestatori del mio tweet non hanno compreso una cosa fondamentale: che Hitler, anche se non era certamente un santo, in quel momento difendeva l’intera civiltà europea”. In precedenza Castrucci aveva fatto appello alla “libertà di pensiero”, spiegando che quanto scritto su Twitter sono “opinioni del tutto personali”, espresse “fuori dall’attività di insegnamento”.

Dapprima il rettore Francesco Frati aveva affermato: “Il prof. Castrucci scrive a titolo personale e se ne assume la responsabilità. L’università di Siena, come dimostrato in molteplici occasioni, è dichiaratamente antifascista e rifugge qualsiasi forma di revisionismo storico nei confronti del nazismo”. Poi, montata la polemica, il rettore ha fatto marcia indietro e prima ha diramato un comunicato ufficiale di condanna dei contenuti filo-nazisti: “Le vergognose esternazioni del professore Castrucci offendono la sensibilità dell’intero Ateneo”. Infine, la riunione del Senato accademico e la decisione di denunciare Castrucci alla commissione disciplinare per comminare la sanzione e procedere alla sua destituzione.

Emanuele Castrucci, il docente di filosofia del diritto dell’Ateneo di Siena, finito al centro di una polemica per un tweet pro Hitler, in una foto tratta da Wikipedia.

Recidivo

Il 20 novembre, sempre Castrucci, aveva postato una frase di Corneliu Zelea Codreanu, il fascista rumeno fondatore della Guardia di ferro. Una frase antisemita che non ha bisogno di commenti: “Non c’è nulla che i giudei temano più dell’unità di un popolo”. “Come pensiamo di poter combattere l’antisemitismo – dice Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma – quando nelle aule universitarie un docente insegna i pregiudizi antiebraici? Faccio appello al ministro Fioramonti e al rettore affinché allontanino immediatamente questo professore”. Per Anna Ascani, viceministra dell’Istruzione è “davvero inquietante che un professore si abbandoni ad espressioni di esaltazione del nazismo e dell’antisemitismo. La scuola e l’università condannano da sempre il nazismo e l’antisemitismo in tutte le sue forme. Il professore si vergogni e chieda scusa”.

La storia è “di parte” e quindi non esiste

Non bastasse questo. Rinfreschiamoci la memoria. Nel 2009 Antonio Caracciolo, ricercatore di filosofia del Diritto alla Sapienza di Roma, scriveveva su un blog: “L’Olocausto è una leggenda”, “le camere a gas sono una delle tante cose da verificare”… L’estate scorsa Gino Giannetti, professore in un liceo artistico di Palermo, durante una lezione avrebbe detto che “nei lager c’erano delle piscine per far divertire gli ebrei”. Un mese fa il Comune di Predappio nega un contributo di 370 euro a due studenti delle superiori per la partecipazione al progetto “Treno della Memoria”. Il sindaco Roberto Canali sostiene che “La storia va conosciuta tutta e non solo quella di parte. La conoscenza della storia di parte non può essere finanziata con i soldi pubblici”.

Il fascino perverso del fascismo

La settimana scorsa viene scoperta e sgominata un’organizzazione di militanti di estrema Destra, aspiranti terroristi, accomunati dal medesimo fanatismo ideologico, intenzionati a costituire un movimento battezzato Partito nazionalsocialista italiano dei lavoratori. “Potremmo lanciare una molotov all’Anpi”, diceva intercettato dalla Digos di Enna Pasquale Nucera, ex boss della ‘ndrina Iamonte e già collaboratore di giustizia che agiva, o almeno si proponeva da addestratore delle future milizie. E c’era anche il tocco goliardico con l’elezione di Miss Hitler, una 36enne milanese, sul social russo VK, subito rimosso dalla piattaforma.

Inapplicazione della legge

Nonostante l’art. XII delle ‘Disposizioni transitorie e finali’ della nostra Costituzione (che recita: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”) e nonostante la legge 645 del 1952, la cosiddetta Legge Scelba, che vieta la “riorganizzazione del disciolto partito fascista” e prevede multa e reclusione in caso di violazione della norma, l’applicazione, come dimostrano sentenze anche recenti, è altamente discrezionale e farragginosa. Alla Legge Scelba succede anche la Legge Mancino del 1993 (che punisce “chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali” di organizzazioni, associazioni o movimenti “aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”). Ed ecco l’inghippo tutto italiano. Entrambe le leggi devono contemperare il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di pensiero, che può essere compresso solo in nome di un’urgenza che la Corte costituzionale nella sentenza 74 del 1958 ha individuato nel “concreto pericolo per l’ordinamento democratico”.

Non si può solo stare a guardare

Il vero problema è che tutti questi atteggiamenti xenofobi, razzisti, fascisti e nazisti trovano facili sponde politiche, e non sono condannati con fermezza, come dovrebbero. Le cronache di questi ultimi mesi raccontano con chiarezza come le aggressioni neofasciste, antisemite, razziste, e xenofobe si verifichino con sempre maggior frequenza in tutta Italia,. Senza contare le cronache che raccolgono ormai decine di gesti simbolici violenti (alcuni veramente eclatanti come gli attacchi vergognosi alla senatrice Liliana Segre). Sta a noi condannare da subito certi rigurgiti nazifascisti, ricordandoci sempre che, chi fa finta di niente o ci ride sopra (interpretandoli come manifestazioni goliardiche), è complice. E quindi colpevole.

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L’obbedienza non è più una virtù e forse non lo è mai stata

Cheddire? Ancora, e di nuovo, e di sensato? Ogni giorno l’asticella viene abbassata ai livelli più infimi di sempre e ogni giorno ci si scandalizza (da una parte o dall’altra) con reazioni “di pancia” che inondano i social e invitano al linciaggio (da una parte e dall’altra). Lo scopo di questa strategia mediatica è semplice: l’importante è non riflettere, non innescare i pochi neuroni che ci restano per tentare di fare un ragionamento che non può essere di pancia, ma, in quanto tale, dev’essere di testa.

Mai come oggi è necessario e utile tornare ad ascoltare i profeti, come don Lorenzo. Ecco le sue parole così illuminanti, che non ci stancheremo mai di ripetere: “L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni (…), non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate (…) E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede”.

Leggendo queste parole non è difficile, per nessuno, capire dove sta il bene e dove sta il male, dove sta il giusto e dove sta lo sbagliato. La legge giusta difende il debole, la legge sbagliata difende il forte. Parole semplici e implacabili, come un dardo piantato nella roccia. Come quelle della vignetta di Altan, pubblicata oggi da “La Repubblica”: “I porti sono chiusi perché, se li aprissi, sarebbero aperti” recita il capitano verdevestito.

Ancora migranti. Ancora una nave. Ancora un ministro il solito (come la minestra, la solita). Ma stavolta c’è un altro attore. Anzi è un’attrice protagonista. Una donna. Lei sì vera, autentica capitana contro un capitano sbruffoncello e farlocco.

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Il 25 aprile non si può dimenticare né tantomeno cancellare

Il fermo immagine, tratto da un video pubblicato su Twitter, mostra alcuni ultras della Lazio che dopo aver esposto uno striscione con su scritto ‘Onore a Benito Mussolini’ fanno il “presente” e saluti romani, a poca distanza da piazzale Loreto a Milano, 24 aprile 2019.

Dedicato a tutti quelli che, come i beceri ignoranti qui sopra, vorrebbero cancellare dal calendario il 25 aprile, Festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la più importante Festa civile italiana. Una data simbolo della Storia d’Italia, perché lì affondano le radici della nostra costituzione e della nostra democrazia. A loro dedichiamo e pubblichiamo l’articolo uscito oggi su “La Repubblica” a firma di Liliana Segre, ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Purtroppo, come si dice, mamma ignoranza è sempre incinta e i suoi figli appestano il nostro Paese e infettano il vivere civile con il morbo dell’intolleranza e del razzismo.

Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania. C’era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa. A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. « Non morite adesso! » , scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo. «Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo sui due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi». Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava. Fuori dal lager ci costrinsero all’ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima. La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pistola. Era un uomo terribile, crudele, che a ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano, ma scelsi di non raccogliere quell’arma. All’improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace.

Il 25 aprile del 1945 fu quindi un’esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e famigliari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia. E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a fare festa insieme agli altri. Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e costantemente con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva. Poi quel momento è arrivato. E il 25 aprile è diventata una festa famigliare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz’armi, ai perseguitati politici e razziali. Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo, che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla Rsi. Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale. Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera. Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cos’è stata la dittatura, soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone “ resistenza”. In anni non lontani, c’è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo.

Lapide che ricorda l'eccidio di Monte Sole, meglio noto come strage di Marzabotto (29 settembre – 6 ottobre 1944): con più di 700 morti (tra cui intere famiglie e molti bambini), è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale.

Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che intorno a questa data fosse stata raggiunta l’unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prima del 25 aprile, quando la democrazia non c’era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi. Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in «un simpatico termovalorizzatore». Questa non l’avevo ancora sentita: probabilmente il « simpatico termovalorizzatore » è la forma aggiornata del forno crematorio. Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile.

Buon 25 aprile a tutti.

Liliana Segre

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Cristiani ipocriti, che pregano, ma vivono da atei

Cominciamo l’anno con l’ennesima lezione di vita (e di fede) di papa Francesco, che non ha paura di scagliarsi contro “i sepolcri imbiancati” per scuotere le coscienze e ripotarci alle radici della nostra fede. Fede che, senza le opere, non vale nulla.

«…e quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo. Ma se tu vai in chiesa, vivi come figlio, come fratello è una vera testimonianza, non una contro testimonianza…». Il Papa dice che se noi odiamo gli altri o sparliamo degli altri, anche se siamo cristiani, viviamo come se fossimo atei.

Continua il pontefice: “Gesù introduce l’insegnamento della preghiera del ‘Padre Nostro’, prendendo le distanze dagli ipocriti. C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio: lo fanno per essere ammirati dagli uomini. La preghiera cristiana, invece, non ha altro testimone credibile che la propria coscienza”.
“La propria coscienza”. Sembra don Milani. E’ papa Francesco (udienza generale del 2 gennaio scorso).
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Grande Guerra o Grande Menzogna? Leggete questo libro

Sono trascorsi 100 anni dall’inizio della I guerra mondiale, tutti i protagonisti di quegli anni – vittime e carnefici – sono morti, ma non è morta né la retorica, né la mistificazione, né la menzogna che pretende di ricordare e celebrare, oggi come allora, la catastrofe di quegli anni. Celebrazioni che ancora tacciono sulle colpe di politici come Antonio Salandra e Sidney Sonnino che vollero quella guerra e di generali spietati come Luigi Cadorna, Luigi Capello e Antonio Cantore responsabili, con molti alti ufficiali, di aver mandato a morire centinaia di migliaia di soldati in inutili assalti.

Morti in trincea

 

Un centenario che mira a celebrare la retorica della Patria

L’attivismo celebrativo si era già messo all’opera nel 2012 con la mostra, al Vittoriano, “Verso la Grande Guerra”. Un evento che aveva riaffermato che «la Grande Guerra è stato un passaggio fondamentale nel processo di costruzione del nostro Paese, perché è nell’affratellamento delle trincee il primo momento vero in cui si sono “fatti” gli italiani». Una tesi stantia che cerca, così, di riabilitare e giustificare quel massacro, durato anni, collegandolo al completamento dell’unità nazionale. Ecco dunque la mistificazione al lavoro: orgoglio e unità nazionale, sacrificio eroico di vite umane. Ancora dopo un secolo in Italia non conosciamo se non approssimativamente il numero dei soldati morti, di quelli feriti, dei civili deceduti direttamente e indirettamente e di coloro che in seguito agli stenti della guerra furono più esposti all’epidemia della “spagnola”. Così si impone la spiegazione della guerra con un disegno superiore e alto – Italia ed Europa – e rispetto ad esso si continua a tacere della morte di oltre 650.000 soldati italiani, di 500.000 feriti gravi, di 600.000 prigionieri abbandonati dall’Italia – senza aiuti e assistenza – perché considerati disertori e codardi, di errori strategici pacchiani, di 40.000 soldati impazziti, di un indebitamento che si è estinto solo negli anni ’80, di una truffa colossale sulle spese di guerra con imputati generali, politici, industriali – tra cui i grandi gruppi Ansaldo e Ilva – tutti rimasti impuniti. Quella guerra fu soltanto una catastrofe nazionale totale che ancora viene presentata ed edulcorata con la patriottarde parole di “eroico sacrificio”, riproponendo così dopo un secolo la mistica di guerra della propaganda.

Soldati sfigurati dalle esplosioni delle granate

 

Ferite indicibili e incancellabili, nel corpo e nell’anima

La stessa propaganda che oggi si ostina ad ignorare i risultati di centinaia di ricerche storiche, scientificamente ispirate, che restituiscono a quella guerra, attraverso uno studio delle fonti, l’orrore che essa è stata. Tutti i progressi tecnologici dell’epoca (gas, mitragliatori, aerei, artiglieria, lanciafiamme, proiettili dum-dum, sommergibili) furono messi a servizio di un’ideologia di morte su larghissima scala in grado di produrre sui corpi e sulle menti devastazioni mai viste e permanenti. Non sapevano infatti descriverle né i medici nelle autopsie davanti a brandelli di carne, né gli psichiatri davanti a nevrosi e follie mai prima viste. A questo si aggiunge lo squallore di un Comando supremo che organizzava su larga scala casini per soli militari dove la violenza sul nemico si trasferiva alla violenza sulla donna.

Una scritta su una casa durante la ritirata di Caporetto

 

Credere, obbedire, combattere. A tutti i costi, morte compresa

Si afferma da subito un clima di terrore tra le truppe costrette, in una guerra di cui nulla sapevano, ad assalti continui ed inutili ad inespugnabili trincee, decimazioni di massa, plotoni di esecuzione per le minime infrazioni, seguendo una linea di comando che partiva dall’autore di tutti gli ordini più efferati: il generale Cadorna. A suo servizio, presso lo Stato maggiore, vi era il capitano medico, frate francescano, Agostino Gemelli, il cui impegno, di psicologo militare, fu tutto rivolto a creare le condizioni perché i soldati annullassero totalmente qualsiasi senso critico e si assoggettassero ad obbedire agli ordini, quali essi fossero, senza pensare, utilizzando anche l’universo religioso, posto a servizio della causa della guerra sempre compresa come opera salvatrice divina.

La fucilazione di un disertore dopo un processo sommario

 

Bisognerebbe leggere le lettere dal fronte dei nostri soldati

Leggere gli scritti di Gemelli di quegli anni, le sentenze dei plotoni di esecuzione, le lettere dei soldati scampate alla censura, le lettere anonime indirizzate al re “soldato” Vittorio Emanuele e i canti di protesta potrebbero servire a rendere questo anniversario occasione di costruzione di una memoria nazionale fondata non sull’ipocrisia, la mistificazione, la baggianata del tricolore elemento di coesione nazionale, ma sul riconoscimento che 5 milioni di italiani furono sottoposti ad una prova inutile, onerosissima e per molti di loro mortale. Altro quindi da quanto, per esempio, il ministero dell’Istruzione prepara per i nostri studenti in quelle che definisce le «celebrazioni relative alla I guerra mondiale». L’orrore non andrebbe mai celebrato, ma riconosciuto, ricordato e condannato.

Ritirata di Caporetto (24 ottobre 1917)

 

Oggi “fare storia” vuol dire guardare con occhio obiettivo quell’inutile barbarie

Per tutte queste ragioni il libro di Tanzarella, vuole raccontare in modo rigoroso, ma con un approccio divulgativo, quell’orrore, spesso conosciuto solo dagli specialisti, dai ricercatori e dagli studiosi, mettendo a disposizione di un pubblico ampio di lettori fatti, dati, circostanze, che spesso gli stessi manuali scolastici di storia trascurano od occultano, per demistificare la narrazione celebrativa della I guerra mondiale e creare una solida coscienza critica del perché fu orrore quella guerra, come e più di altre guerre. E suscitare ugualmente orrore nei confronti della “grande menzogna” attraverso la quale ancora oggi molti vorrebbero continuare a ricordarla, nonostante devastazioni, lutti, torture, prigionie, ruberie, deportazioni.