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Fatti furbo paga il biglietto!
Un progetto per la legalità

Si è chiuso a dicembre il progetto “Fatti furbo, paga il biglietto!” promosso dall’associazione I Care di Travedona Monate, con il contributo di Fondazione Comunitaria del Varesotto e il sostegno del Fondo “Danilo Dolci” attraverso il bando “Praticare la legalità per contrastare le mafie”.

Il progetto ha visto coinvolte tre scuole del territorio (la scuola media “G. B. Monteggia” di Laveno, l’istituto di istruzione superiore “Edith Stein” di Gavirate e l’istituto superiore “Giovanni Falcone” di Gallarate) per un totale di oltre 500 studenti.

Il successo del progetto, che è già stato “prenotato” da altre scuole, è dovuto in gran parte alle ricadute pratiche che ha sulla vita dei ragazzi. La stragrande maggioranza di essi, infatti, utilizza i mezzi pubblici (bus e treni) per recarsi a scuola. Inoltre, come sottolinea una delle operatrici, la dott.ssa Angela Lischetti, “l’evasione al pagamento del biglietto è il primo passo verso l’evasione fiscale. Chi non rispetta le regole oggi, non le rispetterà neanche domani…”. Autolinee Varesine e Trenord, aziende leader dei trasporti sul territorio, hanno espresso il loro plauso a sostegno del progetto.

“Fatti furbo, paga il biglietto!” è stato attuato in tre fasi. Una prima, più teorica, che, attraverso un test anonimo, ha approcciato i ragazzi all’argomento più ampio della legalità in quanto “figlia” della Costituzione. Una seconda fase di riflessione insieme ai ragazzi sul rispetto delle regole come condizione sine qua non di una pacifica convivenza civile, improntata ai valori dell’uguaglianza e della giustizia. Una terza di laboratorio in classe, mirata a finalizzare l’acquisizione dei valori attraverso dei progetti concreti inventati dalla creatività dei ragazzi. Gli alunni si sono cimentati in varie attività: la realizzazione di alcune interviste ai loro coetanei, la scrittura di un brano rap e l’ideazione di un manifesto pubblicitario ad hoc che potesse idealmente promuovere il pagamento del biglietto.

L’incontro conclusivo dei ragazzi con il dott. Paolo Garavaglia, responsabile comunicazione di Trenord, è stato particolarmente utile per capire cosa sta dietro la complessa rete ferroviaria lombarda (dove giornalmente circolano circa 1500 convogli che trasportano quasi 560.000 persone) e il lavoro altamente qualificato per mettere su rotaia i mezzi, che ha come obiettivo ultimo la sicurezza e il comfort degli utenti.

Purtroppo come ha sottolineato la dott.ssa Emanuela Cometti, criminologa e collaboratrice del progetto, “il test ha evidenziato come i ragazzi paghino il biglietto (solo il 76% lo fa) più per paura delle sanzioni che per l’interiorizzazione e la condivisione delle regole”. L’analisi dei dati del test, che meriterebbero un esame più approfondito, mostra anche una preoccupante sfiducia dei ragazzi nei confronti dello Stato e delle Forze dell’Ordine (solo il 16% crede nelle istituzioni).

 “Fatti furbo, paga il biglietto!” è un progetto che avrà il suo compimento quando i ragazzi capiranno cosa sta dietro lo slogan apparentemente provocatorio del titolo: cioè un reale capovolgimento dei luoghi comuni che vedono nell’evasore un “furbo”, mentre in realtà il furbo “autentico” è quello che rispetta le regole e pagando il biglietto dà il suo contributo a vantaggio di tutta la comunità. Questo è l’augurio per il futuro di Angelo Fiombo, presidente di I Care: “la realizzazione di un’autentica società civile avverrà nel momento in cui il bene comune ci starà più a cuore del bene privato”.

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Giornata della memoria

Il 27 gennaio si è celebrata la giornata della Memoria per ricordare quell’indicibile crimine dell’umanità che fu lo sterminio degli Ebrei (e unitamente degli omosessuali, dei disabili, dei Rom, ecc…), noto anche come Shoa.

Vi proponiamo qui di seguito due link in cui l’anniversario è stato onorato con modalità opposte.

E’ sempre triste dover constatare che, ancora oggi, nel 2021 – anziché ricordare perché non ricapiti più – possano ancora esistere e trovare credito dei beceri negazionisti ignoranti.

Onore e infinita riconoscenza invece a Liliana Segre che ha continuato per anni, incurante dell’età, a testimoniare l’orrore per incitare le nuove generazioni a non assuefarsi al male e a non cadere nell’indifferenza.

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L’Italia deve firmare il Trattato contro le armi nucleari

Domani entrerà in vigore il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, ma quasi nessuno lo sa e, purtroppo, nessuno ne parla (con l’eccezione di pochi media). E’ un Trattato varato dall’Assemblea generale dell’ONU che il 7 luglio 2017 ha messo fuori legge non solo l’utilizzo, ma anche il possesso della armi nucleari. Possesso di cui l’Italia, pur non essendo potenza nucleare, è “colpevole” e complice. Ovviamente l’Italia, come tutti i Paesi in orbita Nato, non ha sottoscritto il Trattato (invece già firmato da oltre 120 Paesi membri dell’ONU). Tutti i Paesi in possesso di armi atomiche (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord) hanno cercato in tutti i modi di boicottare questo trattato e hanno intimato ai loro alleati (Italia compresa) di non firmarlo. Su un totale di 13.410 testate nucleari sparse per il mondo, si stima che nelle basi italiane di Ghedi (BS) e Aviano (PN) ve ne siano stoccate tra le 40 e le 70. Armi letali, che possono uccidere centinaia di migliaia di persone in pochi istanti, e che saranno in dotazione ai nuovi cacciabombardieri F35.

Questo è il punto: fare pressione sul Governo italiano affinché firmi al più presto questo importantissimo Trattato. E questo lo si può fare solo partendo dalle amministrazioni locali, dai Comuni che possono spingere l’Italia a sottoscrivere questo documento epocale. Attualmente la posizione del nostro Paese è illegale: è contro un trattato varato e ratificato dai Paesi Onu (di cui l’Italia è membro) ed è anticostituzionale (Art. 11 della nostra Carta).

E’ un appello che facciamo a tutti i soci di I care e a tutti i ‘costruttori di pace’. In questo impegno devono sostenerci le parole pronunciate da Papa Francesco al Memoriale della Pace di Hiroshima il 24 novembre 2019: “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”.

Anche un’azienda della nostra zona, la Leonardo di Venegono Inferiore è direttamente coinvolta nella produzione di velivoli militari (i famigerati F35 e i caccia M346). Per questo domani, 22 gennaio 2021, anche noi di I care, aderendo all’iniziativa dell’associazione Abbasso la Guerra, saremo presenti dalle 11,30 alle 12,30 insieme a tante altre associazioni del territorio, davanti all’ingresso della Leonardo per sottolineare l’importanza dell’entrata in vigore del Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari e per protestare pacificamente contro la fabbricazione e il possesso di questi ordigni.

Per approfondire suggeriamo la lettura del quotidiano ‘Avvenire’ che domani dedica la prima pagina e dà ampio spazio all’argomento e anche di questo articolo:

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-mondo-senza-armi-nucleari-lobiettivo-adesso-pi-vicino

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Willy e don Roberto martiri e testimoni di carità

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (1Gv 3,16).

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Quest’anno, causa Coronavirus, niente Tacalaspina

Il direttivo di I CARE è molto dispiaciuto di annunciare l’annullamento di TACALASPINA 2020, previsto per sabato 6 giugno a Besozzo, e di STACALASPINA, che avrebbe dovuto svolgersi agli inizi di settembre a Travedona. Il quadro sanitario attuale, condizionato (e non si sa ancora per quanto) dal Coronavirus, impedisce lo svolgimento di qualsiasi manifestazione che comporti assembramento di persone. La forza del TACALASPINA è stata per anni la partecipazione del pubblico (sempre numerosissimo) e il contatto “diretto” con gli artisti. Tutto questo, al momento, non ha alcuna possibilità né di essere programmato, né tantomeno essere realizzato. TACALASPINA music street festival o si fa bene o non si fa. Piuttosto che allestire una copia sbiadita del festival è meglio non fare niente. E attendere tempi migliori in cui poter incontrare tanta gente, ascoltando ottima musica e gustando un buon cibo di strada. Un arrivederci !

Il 2020 sarebbe stato il terzo anno di Tacalaspina a Besozzo. Le due scorse edizioni sono state una sfida, una crescita, una serie di incontri che hanno dato vita a giornate faticose nell’organizzazione e magiche per il risultato: le vie del centro storico hanno ospitato migliaia di persone in una grande festa aperta a tutti, ricca di musica, arte buon cibo, tanti sorrisi e condivisione. Strada facendo abbiamo cercato di migliorare e quest’anno a gennaio eravamo pronti a ripartire… poi l’incertezza sul futuro e la conferma della sospensione. Ci mancherà questa terza edizione, ma sentire la mancanza di qualcosa vuol dire anche apprezzarne il valore, per questo attendiamo di poter ospitare nuovamente Tacalaspina quando le condizioni lo consentiranno, conservando le energie e cercando di trovare nuove strade.

Silvia Sartorio Assessore alla cultura Comune di Besozzo

Sebbene con rammarico condivido appieno quanto espresso dall’amministrazione di Besozzo. Purtroppo la situazione di incertezza venutasi a creare a causa dell’emergenza epidemiologica dovuta al Covid19 non permette di programmare ora eventi da tenersi in futuro, nonostante siano già stati preannunciati . Pertanto anche il Music Street Festival ‘’ STACALASPINA’’ che avrebbe dovuto svolgersi a Travedona Monate in Settembre verrà rimandato a data da definirsi. E’ un vero peccato dover annullare una manifestazione così sentita e partecipata ma il percorso di collaborazione intrapreso tra le amministrazioni di Besozzo, Travedona Monate e il direttivo di I Care non si interromperà . Lavoreremo ancora tutti assieme affinché tale bellissima occasione di incontro, appena possibile, possa riempire di nuovo le nostre vie di buona musica e di festosa allegria . Grazie a tutti quanti hanno creduto in questo grande progetto e arrivederci a presto !

Laura Bussolotti Sindaco di Travedona Monate

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Il 25 aprile c’è (anche se non si vede)

Oggi celebriamo il settantacinquesimo anniversario della Liberazione, quando, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, i popoli europei scelsero la libertà dal nazifascismo e da lì nacque la Comunità europea. Cosa sia rimasto di questa “comunità” nessuno lo sa… forse perché non c’è mai stata. E non è detto che questo maledetto (?) Coronavirus non riesca a far mutare l’Europa in una vera comunità…

Ma se la Comunità europea non c’è mai stata, se non sulla carta, il 25 Aprile c’è stato, eccome! E noi dobbiamo ricordarlo. Sempre. Per noi e per le generazioni future.

Non è vero che oggi “va tutto bene” (e meno male che di queste scritte se ne vedono sempre meno…), ma è vero che potrebbe esserlo domani. Dipende da noi (noi nel senso di comunità), dalle forze positive che riusciremo a mettere in campo, dalla voglia di rinascita che si sprigionerà all’indomani del Covid-19.

Intanto vi vogliamo salutare con il messaggio che gli amici dell’Anpi di Ispra ci hanno inviato in questo periodo di Resistenza che è la quarantena. E con un pugno di film sulla Resistenza che vi invitiamo a vedere (o ri-vedere).

Buon 25 Aprile!

Ciao a tutti e buon 25 aprile, quest’anno è il 75° anniversario della Liberazione d’Italia dal nazi fascismo. Sembra che ancora, dopo tanti anni, un nuovo, più ambiguo e sfuggente male oscuro stia insidiando il mondo e i suoi abitanti. Questa volta non sono degli stolidi violenti vestiti di nero o con svastiche ad ornamento e brame di egemonia mondiale ma una pandemia (…).

Si può sperare, come molti appendono ai balconi, che tutto andrà bene. Che tutto andrà bene lo speriamo tutti, anche che se e quando la situazione di emergenza finirà, da tutto questo si traggano insegnamenti, che gli uomini inizino a capire di essere tutti uguali, ovunque, in tutto il pianeta, che la solidarietà sociale che si è sviluppata in questi giorni riesca a sconfiggere il malato isolamento nazionalistico, l’erosione della sanità pubblica e il distopico controllo sociale in auge. Tutto andrà bene se la nostra memoria non si dimostrerà ancora una volta corta. (…).

Il 25 aprile è la festa della Liberazione d’Italia dai nazisti e dai fascisti, è la festa dei partigiani e di tutti gli antifascisti, è la festa di tutti gli italiani che hanno a cuore la libertà, la giustizia sociale, l’uguaglianza e la fine della guerra che ancora oggi martoria tante zone a noi limitrofe. In prima linea a immolarsi rischiando la propria vita per il bene di tutti questa volta ci sono i medici, il personale degli ospedali italiani e stranieri che sono venuti ad aiutare e le tanto bistrattate Ong, a loro quindi dedichiamo questa giornata. Quest’anno sarà un 25 aprile virtuale, abbiamo collaborato con Partigiani in ogni quartiere di Milano, dove al posto della solita festa concerto alle 18 prenderà vita una piattaforma online in streaming con contributi vari che si succederanno per qualche ora ed a cui vi invitiamo a partecipare dal vostro computer.

Questi i link da cui si potrà vedere: https://www.youtube.com/channel/UC6Gi5_glK0qBrxnHlZ-ZFZQ/featured https://live.autistici.org/#POQ https://www.facebook.com/poqantifa/?notif_id=1587148343426890¬if_t=page_fan

Per questa giornata abbiamo terminato un nuovo film : “Virginia Gattegno da Rodi ad Auschwitz a Venezia”, testimonianza di una superstite ad Auschwitz che oggi vive nel ghetto di Venezia. Vi invitiamo tutti ad andarlo a vedere online su nostro canale youtube a questo link: https://www.youtube.com/playlist?list=PLyJCRFwRAC4TfH5bRDNIsKLlzkpUrnTmJ

Come vedrete, abbiamo anche caricato sullo stesso canale tutti i film partigiani che abbiamo prodotto negli ultimi 15 anni, è così possibile godersi un vero e proprio festival resistente dalla poltrona di casa, ed ascoltare ancora una volta la voce di quelle persone che si sono messe in gioco tra il 1943 ed il 1945 per ridarci la libertà. Il 25 aprile verso le 19, in contemporanea con la manifestazione digitale di Milano, pubblicheremo sul canale anche un breve video tratto dalla prefazione al Manifesto di Ventotene di Eugenio Colorni (filosofo e partigiano gappista, confinato a Ventotene, uno dei primi teorici dell’Europa unita e antifascista, ucciso il 24 aprile 1944 dalle camice nere di Mussolini) che abbiamo realizzato insieme a Partigiani in ogni quartiere. Ora e sempre Resistenza!

Circolo Culturale Anpi Ispra

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La fine? No, un nuovo inizio

Amiche e Amici,

Ci eravamo salutati con una cena -era l’8 febbraio scorso-, pieni di speranze e di entusiasmo nel futuro di I CARE. Consapevoli del fatto che avremmo dovuto, -anzitutto noi come consiglio direttivo-, cercare di essere più vicini ai nostri soci, cercare il contatto… Ma adesso? Quale contatto è possibile?

Dopo che il Coronavirus ci ha sconvolto la vita (perché davvero ce l’ha cambiata per sempre), quali “spazi di contatto” sono oggi possibili? Forse solo quelli della rete e dei social, vittime spesso di altri virus, ma immuni al Covid-19… E noi che già eravamo imbranati ad usarli (e lo siamo ancora) ne siamo oltremodo penalizzati.

A noi il contatto “fisico” piace, non possiamo farne a meno. Anche questa mail immaginatela proprio come una vera lettera. Solo che è scritta senza carta. Noi di I CARE è sull’incontro che abbiamo puntato tutto. Nel mischiare le carte: cibo e musica, cultura e arte di strada. Il nostro music street festival Tacalaspina è proprio questo: un melting pot festoso e colorato. Infischiandocene dei diversi colori della pelle, abbiamo voluto eliminare le barriere che separano gli artisti dal pubblico, per toccare con mano il calore di una performance, per sentire la musica così vicina che ti “attraversa”, per cogliere lo sforzo dell’acrobata impegnato nel gesto artistico… Tutto questo sarà ancora possibile? Chissà… Certo è che già adesso, per come stanno andando le cose, è difficile poter prevedere (e organizzare) Tacalaspina 2020… Vi terremo comunque informati sulle nostre iniziative, molte delle quali sono state giocoforza annullate.

Ma urge anche un’altra riflessione. Intanto viviamo con serenità questa condizione per noi inedita di stare in casa come fossimo ai “domiciliari”, pensando come l’orizzonte dei nostri nonni finiva poco lontano dal muro di casa. Ma le passate generazioni, con un coraggio inaudito, erano anche capaci di varcare le Colonne d’Ercole per emigrare.

Proprio adesso quando tutti (istituzioni, giornali, tv e social) ci obbligano a stare in casa per sconfiggere l’epidemia e ci invitano a riscoprire gli affetti familiari, oppure a uscire sui balconi per urlare “Andrà tutto bene” riscoprendo sentimenti patriottici ormai desueti, ebbene, tutto questo tempo potrebbe essere sfruttato semplicemente per fare un po’ di silenzio. Stare zitti, e basta. Chiudere gli occhi, riflettere su quello che ci sta succedendo (qualcuno dice sia l’Apocalisse della globalizzazione). E magari pregare. Pregare perché “alla fine vada tutto bene”. E, come diceva John Lennon, credere che “se non va bene, vuol dire che non è la fine”. Ma è l’inizio. L’inizio di qualcosa di nuovo, di mai visto sotto il sole. Una comunione di spiriti e di menti che “si sentono” uniti gli uni agli altri senza vedersi né toccarsi.

E ora ascoltatevi questa…

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Non si può ricordare quello che si nega sia accaduto

La giornata della Memoria serve a ricordare. Ma a ricordare cosa? Il 27 gennaio 1945 i soldati russi entrarono per primi ad Auschwitz e non poterono credere a quello che videro. No, non era possibile che l’essere umano avesse potuto compiere un abominio così immane. Non c’era coscienza capace di contenere tanto dolore. Primo Levi riuscì, anni dopo, a raccontarci l’indicibile orrore di cui era stato capace l’uomo (“Se questo è un uomo”), arrivando a mettere in dubbio l’esistenza stessa dell’umano all’interno di quei corpi di carnefici e di vittime. Se questo è un uomo… ma no, non può esserlo, sembrava la logica risposta.

Oggi il problema si ripropone con drammatica urgenza. La scritta comparsa a Mondovì (Cuneo) sulla porta della casa di Lidia Rolfi (internata e scampata al campo di sterminio nazista di Ravensbruck), oggi abitata dal figlio Aldo, è tutt’altro che una bravata e molto più di un’offesa razzista. “Qui abita un ebreo” recita lo sfregio della bomboletta, accompagnato da una stella di David. Ma Lidia non era nemmeno ebrea, ma fu deportata perché staffetta partigiana. Questa scritta non è solo un insulto, “un’offesa frutto dell’odio” come ha detto il figlio. E’ molto, molto di più. In esso, si condensa una colpa stratificata, collettiva, di chi, prima nega l’evidenza dei fatti quotidiani e poi arriva a sfregiare una Storia che sembrava scolpita a fuoco nelle nostre coscienze. Invece tutto si è sciolto come neve al sole. Coscienze comprese.

Ha ragione Liliana Segre quando ci ammonisce: “Quando ci portarono nei campi di sterminio ci fu l’indifferenza del mondo. Nessuno fece nulla. Ancora oggi non so se è stato peggio il silenzio o l’indifferenza di chi vide e non fece nulla”. I nazifascisti di oggi sono terribilmente ignoranti e determinati. Non vogliono farci dimenticare la Storia, vogliono negarla. Prima a loro stessi che a noi. Compiendo questi gesti sciagurati hanno l’incoscienza (la non-coscienza) dei neofiti del Male. Non vogliono rifarlo, emularlo, perché quel Male, per loro, non è mai esistito, non c’è mai stato. E semmai è accaduto, non era poi così male. Anzi. La situazione è grave. E terribilmente seria. Risvegliamo al più presto le nostre coscienze e quelle dei nostri figli. Altrimenti soccomberemo al Male.

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Santo Natale 2019

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5)

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Due film da non perdere

circolo culturale ANPI
via Luigi Banetti, 1
21027 Ispra (VA)
tel/fax 0332.780.905
www.puntaemazzetta.net

Giovedì 5 dicembre ore 21.30 Todo Modo di Elio Petri con Gian Maria Volonté, Mariangela Melato, Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia, Franco Citti, Tino Scotti, Renato Salvatori Italia 1976, 125′ Uno dei massimi esiti del cinema politico italiano degli anni ’70, liberamente ispirato dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Un gruppo di uomini di potere si ritrovano per una riunione in un albergo convento. In teoria per discutere di un epidemia che sta colpendo la popolazione, in realtà per decidere nuove spartizioni del potere. L’atmosfera si inquina velocemente e iniziano a comparire anche dei cadaveri. Tra i notabili, tra i quali spicca l’uomo che tutti chiamano “il presidente”, comincia a serpeggiare il terrore: chi sarà l’assassino?

Venerdì 6 dicembre, ore 21, Fondazione Piatti, via Lombardia 14, Sesto Calende

Quando Markus Imhoof, il regista, era un ragazzino in Svizzera, i suoi genitori accolsero una rifugiata italiana di nome Giovanna. Ma le leggi internazionali hanno separato i due bambini e spezzato la loro amicizia: la Svizzera accettava solo immigrati con un lavoro non bambini stranieri, così Giovanna fu costretta a tornare a Milano. I ricordi del regista lo hanno spinto a partire per l’Italia e a indagare sull’attuale politica europea per i rifugiati. Markus Imhoof è infine andato a vedere ciò che avrebbe preferito non vedere. Il viaggio che parte dalle coste libiche porta In Italia 1800 persone, di cui nessuna avrebbe la possibilità di arrivare legalmente in Europa. Dalle navi i migranti sono portati in un campo profughi dove trascorrono tra gli 8 e i 15 mesi in media.

Il regista di The Boat is Full, candidato agli Oscar e vincitore dell’Orso d’Argento alla Berlinale nel 1981, ritorna sul tema dei migranti e racconta, da una nuova prospettiva e con uno sguardo fresco, la crisi dei rifugiati in un documentario che mostra i volti di quei migranti che l’Europa considera solo numeri. Dunque, non solo come regista ma come una persona che ha la sua esperienza, Markus Imhoof ripercorre la sua infanzia in Svizzera con Giovanna durante la seconda guerra mondiale, intervallata dal racconto del problema attuale dei migranti che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente. Nonostante la differenza di tempo, le somiglianze sono impressionanti.

Lettere, disegni e giocattoli di Imhoof da bambino si alternano a interviste, conversazioni e incontri con migranti, volontari, membri del sindacato e dell’equipaggio delle navi di salvataggio delle coste italiane. Il regista offre le sue immagini strappate, a volte anche rubate, di campi profughi in condizioni indecenti, abitazioni tra fango, tende e disperazione, piantagioni assolate da coltivare a nero pur di andare avanti.